Tanto tuonò che piovve. Naturalmente sul
bagnato, cioè a Termini Imerese che rappresenta l’anello debole della
catena Fiat. Il fatto che l’annuncio fosse previsto non ne ridimensiona
la gravità: ieri l’amministratore delegato del Lingotto Sergio
Marchionne ha detto che il piano di rilancio dello stabilimento
siciliano non esiste più. Dunque, niente opere infrastrutturali nel
territorio per raddoppiare la capacità produttiva da 100 a 200 mila
vetture e costruire un indotto degno di questo nome, niente più
produzione completa di due modelli ma soltanto assemblaggio di pezzi
provenienti da Melfi e Mirafiori per un solo modello, la Ypsilon che è
già in produzione a Termini. Tutta colpa della politica, in particolare
di quella siciliana che ha approfittato della crisi del governo Cuffaro
per disattendere gli impegni presi con la Fiat e il governo nazionale.
Niente emendamento prima dello scioglimento della Regione, niente
assegno da 150 milioni di euro, niente rilancio. E niete provvedimento
del governo Prodi per la riduzione del costo del lavoro siciliano,
finalizzato alle nuove assunzioni che il raddoppio produttivo avrebbe
consentito. Ma è proprio vero che la colpa del passo indietro di
Marchionne è tutta e solo della politica? Questa lettura non convince
Roberto Mastrosimone, quadro storico della Fiom a Termini: «Temo che
dietro la scelta regressiva della Fiat ci siano ragioni strutturali che
poco hanno a che fare con le colpe, reali, della politica. Il 2008 e il
2009 si prospettano come anni difficili per l’industria
automobilistica, e la Fiat non fa certo eccezione. I casi sono due: o
il nuovo modello che avremmo dovuto costruire qui non si fa o slitta
nel tempo, oppure hanno deciso di costruirlo altrove. Certo non in
Polonia, dove lo stabilimento è saturato». Iniziative di lotta in
vista? La situazione non è facile, in una fabbrica che pure ha mostrato
nel 2002 un’alta capacità di lotta e di coinvolgimento del territorio.
Ma oggi non si parla di chiusura come sei anni fa, si parla di non
rilancio. Dunque il problema «sociale» non sarà immediato, riguarda
però il futuro di uno stabilimento che oggi occupa 1.400 dipendenti
(età media altissima, qui si aspetta la pensione) più 300 terziarizzati
e 350 dell’indotto. E’ perciò al territorio – segnato profondamente
dalla crisi sociale e occupazionale – che Mastrosimone lancia un
appello, prima ancora che ai lavoratori della fabbrica di automobili.
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