*Obiettiamo gli obiettori di coscienza*

*Obiettiamo gli obiettori di coscienza*

Inchiesta sui consultori in relazione alla pillola del giorno dopo

Percorso inchiesta- motivazioni


Il diritto di decidere sui nostri
corpi dovrebbe essere l’elemento su cui si basa la società contemporanea, ma
così non era e così non è. Le donne hanno conquistato con la lotta alcuni dei
diritti che ad oggi sono loro riconosciuti, come ad esempio il diritto
all’aborto. La legge 194 è una conquista per le donne, per la loro libertà di
scelta, per la loro salute, ma la legge in questione va cambiata, va eliminato
l’articolo 9 che prevede l’obiezione di coscienza. La legge 194 sancisce il
diritto di ogni donna di decidere della propria vita e poi, con un assurdo
controsenso, limita lo stesso permettendo a dei bigotti clerico-fascisti di
decidere al posto della donna, opponendo il veto alla richiesta di aborto,
rifiutandosi quindi di fornire un servizio. La presenza degli obiettori nei consultori, negli ambulatori e negli
ospedali limita la libertà di ogni donna, ne lede la salute e favorisce
l’aborto clandestino. L’obiettore di coscienza, tra l’altro, non rifiuta solo
l’interruzione volontaria di gravidanza ma non prescrive nemmeno la “pillola
del giorno dopo”, cadendo anche in un errore scientifico: è provato che la
pillola del giorno dopo non interrompe una gravidanza in atto ma blocca
l’ovulazione ed è catalogato come contraccettivo d’emergenza è non come
abortivo. Siamo pienamente convinte che
si debba lottare per abolire l’art. 9 e si debba eliminare la figura
dell’obiettore. Il contratto di lavoro dovrebbe vincolare il medico a
rispettare la salute di ogni donna! A tal proposito abbiamo iniziato un
percorso d’inchiesta sul territorio palermitano, il primo ciclo d’inchiesta
riguarda i consultori, vogliamo verificare quanti obiettori sono presenti nel
territorio palermitano, quanti medici prescrivono la pillola del giorno dopo,
ma anche il tipo di accoglienza e servizio che le donne trovano nei consultori.
La prossima inchiesta riguarderà invece le farmacia, verificheremo in quante
farmacie viene venduta la “pillola del giorno dopo”. Questo opuscolo vuole
essere un vademecum per tutte quelle
donne che hanno la necessità di ricorrere ad un contraccettivo d’emergenza,
potranno così, conoscendo già prima i consultori dove possono ricevere il
servizio richiesto, evitare di perdere tempo inutilmente ed assumere la
compressa entro le 72 ore, tempo limite per la funzionalità del metodo.

Pillola del giorno dopo 

http://www.centrostudi-ancoragenitori.it/images/stories/femminismo.jpg
La pillola del giorno dopo è un farmaco
utilizzato come metodo di intercezione post-coitale (ossia contraccezione di
emergenza) durante le 72 ore successive a un rapporto sessuale. Il principio
attivo è il progestinico levonorgestrel, una sostanza presente anche in molte pillole
contraccettive, impiegata però in un dosaggio 20-30 volte maggiore (750
microgrammi).

Non va confusa con la pillola abortiva Mifepristone,
nota come RU-486, dalla quale invece si differenzia sia per i tempi di
assunzione, sia per i meccanismi di azione.


Funzionamento

La pillola del giorno dopo è un metodo di contraccezione
d’emergenza che ha lo scopo di prevenire la gravidanza, in caso di rapporto
sessuale non protetto o in caso di mancato funzionamento di un metodo
anticoncezionale, bloccando l’ovulazione. In seguito alla sentenza del T.A.R.
del Lazio n. 8465/2001 la ditta produttrice della pillola del giorno dopo è
stata obbligata a scrivere nel foglio illustrativo che il farmaco impedisce
l’impianto dell’ovulo eventualmente fecondato, ma nel 2005 il Dipartimento di
Salute Riproduttiva dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiarito che
“la contraccezione di emergenza con levonorgestrel ha dimostrato di prevenire
l’ovulazione e di non avere alcun rilevabile effetto sull’endometrio (la mucosa
uterina) o sui livelli di progesterone, quando somministrata dopo
l’ovulazione”, escludendo quindi un effetto intercettivo su un eventuale ovulo
fecondato.

Tipi di pillola del giorno dopo

Esistono due forme principali di contraccezione
ormonale d’emergenza:

– La
versione originale, denominata anche metodo Yuzpe, sempre meno in uso,
implicava alte dosi di estrogeni e di progestinico in due dosi a 12 ore di
intervallo. Questo metodo è considerato meno efficace e in genere meno
tollerato del farmaco contenente solamente il progestativo.

– Il
metodo più recente prevede una dose di 1,5 milligrammi di un progestinico,
il levonorgestrel. Il nome commerciale con cui viene distribuito in Italia
è NorLevo®. Questo metodo è conosciuto per essere più efficace
(più del 32% se assunto in tempo), più sicuro e meglio tollerato del
metodo Yupze, è disponibile negli Stati Uniti e in Canada con il nome di plan
B
, in Gran Bretagna e in altri paesi con il nome di Levonelle.


Efficacia

L’efficacia della pillola del giorno dopo dipende
dalla tempestività con cui viene assunta dopo il rapporto sessuale a rischio. È
dimostrato da uno studio dell’OMS che l’assunzione del farmaco entro le prime
24 ore dal rapporto a rischio ha un’efficacia del 95%, che scende al 9% entro
le prime 72 ore. 

Se invece la pillola viene assunta dopo che
l’impianto dell’embrione in utero è già avvenuto, essa non disturba la
prosecuzione della gravidanza.


Situazione legale in Italia

La pillola del giorno
dopo può essere venduta solo dietro prescrizione medica con ricetta non
ripetibile. Per poter assumere il farmaco è quindi necessario rivolgersi a un
medico generico o a un ginecologo. In Italia il diritto all’obiezione di
coscienza è concesso per legge solo nell’ interruzione volontaria di
gravidanza, ma la FNOMCEO ha
ammesso la possibilità di appellarsi alla "clausola di coscienza"
(equivalente all’obiezione) per il medico contrario alla prescrizione per
motivi etici, in accordo a quanto previsto dall’art.22 del Codice Deontologico
secondo cui il medico a cui vengano richieste prestazioni che contrastino con i
propri convincimenti scientifici o etici, ha il diritto di rifiutarsi, pur essendo
tenuto a fornire all’utente ogni utile informazione e chiarimento. Tale
interpretazione riprende anche un parere del Comitato nazionale per la bioetica
che si è espresso in tal senso. 


I due metodi per effettuare l’interruzione della gravidanza

Metodo chirurgico

(per aspirazione)

L’aspirazione puo’ generalmente
essere effettuata entro le 14 settimane a partire dal primo giorno dell’ultima
mestruazione. L’intervento viene eseguito in ospedale o presso uno studio
medico, sia come ambulante (dopo poche ore si puo’ tornare a casa) sia come
degente (restando anche di notte). A volte, per facilitare l’intervento, il
collo dell’utero viene rilassato con un farmaco (prostaglandina), da prendersi
o il giorno precedente o il giorno stesso dell’intervento.

L’intervento operatorio avviene
sotto narcosi (anestesia generale) oppure sotto anestesia locale. Il collo
dell’utero viene dilatato cautamente con dilatatori metallici fino ad un
diametro da 6 a 12 mm. Viene in seguito inserita una fine canula per l’aspirazione
che rimuove i tessuti embrionali dalla cavita’ uterina. L’operazione dura circa
20 minuti. Il rientro a domicilio avviene tra le 2 a 8 ore seguenti
l’intervento oppure il giorno dopo (cio’ dipende dal luogo dove e’ stato
effettuato l’intervento).

Generalmente, una visita di
controllo viene effettuata nelle due settimane seguenti l’intervento.


Rischi e complicazioni

I rischi sono piccoli per
entrambi i metodi. Le complicazioni gravi occorrono in meno dell’uno per cento
dei casi. Raramente si manifestano ulteriori problemi di salute. L’intervento
non aumenta il rischio di non piu’ poter avere bambini ulterioramente. I
problemi psichici non sono piu’ frequenti con il metodo farmacologico che non
quello chirurgico.

Metodo farmacologico RU486

(Mifegyne
con prostaglandina)

In Svizzera, questo metodo puo’
essere prescritto entro la 7a settimana a partire dal primo giorno dell’ultima
mestruazione. L’interruzione viene effettuata ambulatoriamente, sia in clinica
sia in uno studio medico, con due farmaci: la Mifegyne (conosciuta anche con il
nome di RU 486) e una prostaglandina. La Mifegyne blocca gli effetti
dell’ormone progesterone interrompendo lo sviluppo della gravidanza. La
prostaglandina induce contrazioni uterine e provoca l’espulsione dei tessuti embrionali.In
presenza di personale medico, la donna assume tre compresse di Mifegyne. Poco
dopo puo’ rientrare a casa. Due giorni dopo, due compresse di prostaglandina
sono anch’esse prese nello studio medico o in clinica. La donna rimane in
osservazione per alcune ore. Per circa due terzi delle donne l’espulsione dei
tessuti embrionali avviene in questo periodo, per alcune avviene piu’ tardi a
casa. A questo stadio molto precoce, l’embrione misura tra i 2 e gli 8 mm, a
seconda della durata della gravidanza.Circa due settimane dopo la presa della
prostaglandina viene effettuata una visita di controllo.

Confronto
dei due metodi

Entrambi i metodi sono efficaci e
sicuri. In rari casi il medico deve sconsigliare l’uno o l’altro per ragioni
legate alla salute della donna coinvolta.

Esistono pero’ delle differenze
riguardanti il periodo entro il quale la donna si deve decidere e anche
riguardanti la percezione dei due metodi. E’ importante tenere conto di queste
differenze.

L’interruzione farmacologica si
offre per le donne che sono giunte rapidamente alla chiara decisione di
interrompere la gravidanza. Le donne che si decidono piu’ tardi o hanno bisogno
di un tempo di riflessione piu’ esteso, devono ricorrere all’intervento
chirurgico.

Le
differenze piu’ importanti nella percezione dell’intervento

Metodo
chirurgico

Metodo
farmacologico

– Operazione, eventualmente sotto narcosi.
– Il momento dell’intervento e’ pianificato e ben determinato. L’operazione
dura poco tempo.
– Di regola l’intervento non viene effettuato prima della 7a settimana.
– Si ha piu’ tempo a disposizione per prendere una decisione.
– Se effettuato sotto narcosi, l’intervento non e’ vissuto coscientemente.
– Di solito le perdite di sangue dopo l’operazione sono poco abbondanti e di
breve durata.
– Dolori prolungati sono rari.

– In oltre 95% dei casi un ulteriore intervento chirurgico
non e’ necessario. Non c’e’ bisogno di narcosi.
– Il procedimento e’ di tre giorni.
– L’interruzione puo’ essere praticata molto precocemente, il che e’ sovente
percepito come un sollievo psichico.
– L’espulsione e’ vissuta coscientemente.
– Molte donne ritengono che il metodo farmacologico e’ piu’ naturale.
– Maggiore responsabilita’ personale.
– Perdite di sangue piu’ prolungate.
– Dolori addominali che durano piu’ o meno a lungo.

ELENCO
CONSULTORI A PALERMO

via Cisalpino, 19/A

via Roma, 519

piazza Micca, 1

piazza Danisinni

via Pietratagliata, 5

largo Pozzillo, 7

via del Cedro, 6

via N.C. 1, 3

via P. R. da Partanna, 7

via L. Einaudi, 16

via M. D’Azeglio, 6/A

via della Vega, 25

via R. Maria di Sicilia, 16

via Manfredi, 4

CENNI STORICI SUL
CONSULTORIO

I consultori familiari sono
strutture nate dal movimento delle donne negli anni ’70, periodo nel quale si
sviluppò il grande impegno delle donne italiane e del femminismo per la
conquista delle libertà civili, tra cui: il divorzio, la legge per la
legalizzazione dell’aborto, la maternità libera e consapevole, il diritto
all’educazione e alla salute sessuale e riproduttiva e l’uso legale della contraccezione. In Italia cominciarono a funzionare,
all’inizio degli anni settanta, consultori privati laici, come Aied e Cemp,
nati dai movimenti femministi e radicali che operavano soprattutto nel campo
della contraccezione e aiutavano le donne che si trovavano in difficoltà per
una gravidanza indesiderata.

I consultori
familiari pubblici vengono istituiti formalmente nel 1975 con la legge n.
405/1975 e sono stati realizzati sul territorio nazionale con tempi e modalità
diversi, a seguito dell’approvazione delle relative leggi regionali. Sono stati
successivamente incorporati, con modalità non omogenee, nel Servizio Sanitario
Nazionale con la legge n. 833/1978.

La normativa di
legge sui consultori, a livello nazionale, è stata poi perfezionata dalla legge
n. 34/1996 che indica, tra l’altro, l’indice di dotazione numerica previsto
territorialmente: un consultorio ogni 20.000 abitanti, ripreso anche nel POMI
(Progetto Obiettivo Materno Infantile) che fornisce le linee di indirizzo
dell’attività consultoriale e che dall’anno 2000 è parte integrante dei LEA
(Livelli Essenziali di Assistenza).

SERVIZI

I consultori familiari sono
strutture a carattere socio-sanitario e territoriale il cui compito è quello di
fornire servizi e prestazioni mirate alla prevenzione e attinenti la medicina
di base attraverso sedi capillari, diffuse, accessibili e qualificate.

In particolare
svolgono una preziosa e qualificata attività per:

– la tutela
della salute sessuale e riproduttiva attraverso interventi per la
contraccezione,

– l’integrazione
delle straniere,

– la prevenzione
dell’interruzione volontaria di gravidanza,

– l’educazione
sessuale degli adolescenti,

– l’assistenza
socio sanitaria della maternità,

– la
preparazione alla nascita,

– il sostegno
alla donna nei primi anni di vita del bambino,

– le attività di
socializzazione e relazione nei confronti delle famiglie, delle donne, dei
bambini nella città metropolitana dove le reti familiari sono allentate,

– il supporto
psicologico agli adolescenti attraverso programmi mirati in collaborazione con
le scuole,

– la prevenzione
di comportamenti rischiosi per sé e per gli altri (bullismo, violenza,
maltrattamento, uso di stupefacenti),

– l’accompagnamento
delle donne nella fase evolutiva della vita verso la menopausa e gli uomini
verso l’andropausa,

– screening per
la prevenzione dei tumori femminili e molte altre attività e servizi.

Caratteristica distintiva dei consultori familiari è la
multidisciplinarietà dello staff di operatori, rappresentativa di una nuova
cultura della salute come condizione di benessere psico-fisico, non
frantumabile nelle singole funzioni fisiche, ma come risultato di interventi
che tengano conto della complessità della persona e, nel caso dei C.F., anche
del genere.

I nodi cruciali
su cui si basa la funzionalità di un consultorio sono:

1. l’accessibilità del Servizio: i Consultori
dovrebbero essere dislocati in sedi facilmente accessibili, visibili, sedi
adeguate per accogliere l’utenza in maniera riservata e facilitante, mettendo a
disposizione figure che svolgono una funzione di ‘filtro’ e che sono preparate
per svolgere un ruolo di orientamento al servizio, offrendo una disponibilità
oraria adeguata alle esigenze dell’utenza lavoratrice;

2. la presenza di Operatori che si dedichino in
maniera esclusiva e continuativa a progetti rivolti alle seguenti fasce di
utenza:

• giovani nella fascia di età più scoperta e a ‘rischio’:
15-18 anni

• utenza straniera
(informazione/educazione/accompagnamento)

• coppie (su aspetti psicologici, legali, informativi per
fertilità/infertilità);

3. la gratuità dei mezzi contraccettivi per la fascia
di utenza fino a 25 anni;

4. l’informazione sul territorio e nelle scuole;

5. la prevenzione dei tumori al seno e all’utero

(con interventi di screening sulla popolazione).

Esistono,
attualmente, consultori familiari pubblici e privati, ad orientamento sia laico
che cattolico.

La differenza che
passa tra struttura pubblica e privata consiste nel fatto che i consultori
pubblici sono tenuti a fornire tutti i servizi e le prestazioni previste per
legge e contenute nei LEA: dalla prevenzione, all’educazione sessuale, alla
contraccezione, alla tutela della maternità e della nascita, la salute della
madre e del bambino nei primi anni di vita, la gestione della legge 194
sull’interruzione volontaria di gravidanza, per citarne solo alcuni.

I consultori privati, secondo il loro orientamento, scelgono alcuni
campi di intervento e in particolare le strutture di indirizzo cattolico non
praticano il servizio di contraccezione (tranne che per i metodi naturali) e
non rilasciano la certificazione legale ai fini della legge 194. Se le
strutture pubbliche non verranno sostenute, aumentando i punti territoriali e
curando la qualità del servizio, le donne potrebbero trovarsi in difficoltà a
gestire in libertà la loro sessualità e le scelte di autodeterminazione della
propria vita.

CONCLUSIONI INCHIESTA


Dai dati raccolti emerge sicuramente un segnale
positivo riguardo la prescrizione della pillola del giorno dopo nei consultori
palermitani.


Una situazione di novità che ci ha sorprese;
ricordiamo infatti che fino a pochi anni fa vigeva anche nei consultori una
politica diversa, molto più discriminante e colpevolizzante nei confronti delle
donne.


Tuttavia continua a prevalere nella maggior parte dei
ginecologi un atteggiamento poco disponibile a fornire adeguate informazioni e
supporto umano. Siamo ancora ben lontane dalla situazione auspicabile di
accoglienza che ciascuna di noi si aspetta all’interno di un consultorio.

Ricordiamo che nel prossimo opuscolo continueremo la
nostra inchiesta volta a smascherare la presenza di obiettori di coscienza
nelle aziende ospedaliere e nelle farmacie.

///////////////// 

La legge 194

Se nel 1978 era conosciuto solo l’aborto chirugico, metodo
per aspirazione, nella L 194 non e’ specificato che quello sia l’unico metodo.
Anzi a ben leggere nella legge, l’art. 14 "Il medico che esegue
l’interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e
le indicazioni sulla regolazione delle nascite, nonché a renderla partecipe dei
procedimenti abortivi, che devono comunque essere attuati in modo da rispettare
la dignità personale della donna", e parlando di procedimenti sembra
proprio prevedere la possibilita’ che altri metodi si aggiungano a quello
chirurgico: il plurale utilizzato nella legge preannuncia una pluralita’ di
procedimenti. Ma ancora l’art. 15: "Le regioni, d’intesa con le università
e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario
ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e
responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul
parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità
fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della
gravidanza" sembra proprio auspicare un aggiornamento delle tecniche piu’
avanzate, in contraddizione con la situazione attuale bloccata ad un metodo
sempre valido, ma in alcuni casi certamente superato da quello farmacologico.

Legge n.194 del 22
maggio 1978

Norme per la tutela
sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza.

Articolo 1
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile,
riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo
inizio.
L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è
mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e
competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre
iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della
limitazione delle nascite.

Articolo 2
I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo
restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di
gravidanza:
a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e
regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente
offerti dalle strutture operanti nel territorio;
b) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della
legislazione sul lavoro a tutela della gestante;
c) attuando direttamente o proponendo allo ente locale competente o alle
strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza
o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i
normali interventi di cui alla lettera a);
d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna
all’interruzione della gravidanza.
I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono
avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di
idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che
possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.
La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei
consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte
in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori.

Articolo 3
Anche per l’adempimento dei compiti ulteriori assegnati dalla presente legge ai
consultori familiari, il fondo di cui all’articolo 5 della legge 29 luglio
1975, n. 405, è aumentato con uno stanziamento di L. 50.000.000.000 annui, da
ripartirsi fra le regioni in base agli stessi criteri stabiliti dal suddetto
articolo.
Alla copertura dell’onere di lire 50 miliardi relativo all’esercizio
finanziario 1978 si provvede mediante corrispondente riduzione dello
stanziamento iscritto nel capitolo 9001 dello stato di previsione della spesa
del Ministero del tesoro per il medesimo esercizio. Il Ministro del tesoro è
autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di
bilancio.

Articolo 4
Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la
donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il
parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica
o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche,
o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o
a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un
consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della
legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò
abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.

Articolo 5
Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i
necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente
quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata
dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute
della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la
donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna
e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei
problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla
interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi
diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto
a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la
gravidanza sia dopo il parto.
Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli
accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della dignità e della libertà
della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la
donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna
e della persona indicata come padre del concepito, anche sulla base dell’esito
degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la determinano a chiedere
l’interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli
interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e
le strutture socio-sanitarie.
Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico
di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente
l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante
l’urgenza.
Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi
autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza.
Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro il medico
del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di
fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base
delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un documento,
firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta
richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette
giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della
gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma,
presso una delle sedi autorizzate.

Articolo 6
L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può
essere praticata:
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita
della donna;
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a
rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave
pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Articolo 7
I processi patologici che configurino i casi previsti dall’articolo precedente
vengono accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente
ospedaliero in cui deve praticarsi l’intervento, che ne certifica l’esistenza.
Il medico può avvalersi della collaborazione di specialisti. Il medico è tenuto
a fornire la documentazione sul caso e a comunicare la sua certificazione al
direttore sanitario dell’ospedale per l’intervento da praticarsi
immediatamente.
Qualora l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente
pericolo per la vita della donna, l’intervento può essere praticato anche senza
lo svolgimento delle procedure previste dal comma precedente e al di fuori
delle sedi di cui all’articolo 8. In questi casi, il medico è tenuto a darne comunicazione
al medico provinciale.
Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della
gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a)
dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura
idonea a salvaguardare la vita del feto.

Articolo 8
L’interruzione della gravidanza è praticata da un medico del servizio
ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale tra quelli indicati
nell’articolo 20 della legge 12 febbraio 1968, numero 132, il quale verifica
anche l’inesistenza di controindicazioni sanitarie.
Gli interventi possono essere altresì praticati presso gli ospedali pubblici
specializzati, gli istituti ed enti di cui all’articolo 1, penultimo comma,
della legge 12 febbraio 1968, n. 132, e le istituzioni di cui alla legge 26
novembre 1973, numero 817, ed al decreto del Presidente della Repubblica 18
giugno 1958, n. 754, sempre che i rispettivi organi di gestione ne facciano
richiesta.
Nei primi novanta giorni l’interruzione della gravidanza può essere praticata
anche presso case di cura autorizzate dalla regione, fornite di requisiti
igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici.
Il Ministro della sanità con suo decreto limiterà la facoltà delle case di cura
autorizzate, a praticare gli interventi di interruzione della gravidanza,
stabilendo:
1) la percentuale degli interventi di interruzione della gravidanza che
potranno avere luogo, in rapporto al totale degli interventi operatori eseguiti
nell’anno precedente presso la stessa casa di cura;
2) la percentuale dei giorni di degenza consentiti per gli interventi di
interruzione della gravidanza, rispetto al totale dei giorni di degenza che
nell’anno precedente si sono avuti in relazione alle convenzioni con la regione.

Le percentuali di cui ai punti 1) e 2) dovranno essere non inferiori al 20 per
cento e uguali per tutte le case di cura. Le case di cura potranno scegliere il
criterio al quale attenersi, fra i due sopra fissati.
Nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione della gravidanza
dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la costituzione delle unità
socio-sanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguatamente
attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione.

Il certificato rilasciato ai sensi del terzo comma dell’articolo 5 e, alla
scadenza dei sette giorni, il documento consegnato alla donna ai sensi del
quarto comma dello stesso articolo costituiscono titolo per ottenere in via
d’urgenza l’intervento e, se necessario, il ricovero.

Articolo 9

Il personale sanitario ed esercente le
attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli
articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando
sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.
La
dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata al medico provinciale e,
nel caso di personale dipendente dello ospedale o dalla casa di cura, anche al
direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge
o dal conseguimento della abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto
a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla
stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione
di tali prestazioni.
L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei
termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce
effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale.
L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le
attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività
specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della
gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.
Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad
assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e
l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti
secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e
garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.
L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed
esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle
circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita
della donna in imminente pericolo.
L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto, immediato, se chi
l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della
gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma
precedente.

Articolo 10
L’accertamento, l’intervento, la cura e la eventuale degenza relativi alla
interruzione della gravidanza nelle circostanze previste dagli articoli 4 e 6,
ed attuati nelle istituzioni sanitarie di cui all’articolo 8, rientrano fra le
prestazioni ospedaliere trasferite alle regioni dalla legge 17 agosto 1974, n.
386.
Sono a carico della regione tutte le spese per eventuali accertamenti, cure o
degenze necessarie per il compimento della gravidanza nonché per il parto,
riguardanti le donne che non hanno diritto all’assistenza mutualistica.
Le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non previste dai precedenti commi e
gli accertamenti effettuati secondo quanto previsto dal secondo comma
dell’articolo 5 e dal primo comma dell’articolo 7 da medici dipendenti
pubblici, o che esercitino la loro attività nell’ambito di strutture pubbliche
o convenzionate con la regione, sono a carico degli enti mutualistici, sino a
che non sarà istituito il servizio sanitario nazionale.

Articolo 11
L’ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio nei quali l’intervento
è stato effettuato sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per
territorio una dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito dà
notizia dell’intervento stesso e della documentazione sulla base della quale è
avvenuto, senza fare menzione dell’identità della donna.
Le lettere b) e f) dell’articolo 103 del testo unico delle leggi sanitarie,
approvato con il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, sono abrogate.

Articolo 12
La richiesta di interruzione della gravidanza secondo le procedure della
presente legge è fatta personalmente dalla donna.
Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per l’interruzione della
gravidanza è richiesto lo assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà
o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi
che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la
potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o
esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura
socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di
cui all’articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione,
corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera.
Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della
sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può
autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la
interruzione della gravidanza.
Qualora il medico accerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave
pericolo per la salute della minore di diciotto anni, indipendentemente
dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela e senza adire il giudice
tutelare, certifica l’esistenza delle condizioni che giustificano
l’interruzione della gravidanza. Tale certificazione costituisce titolo per
ottenere in via d’urgenza l’intervento e, se necessario, il ricovero. Ai fini
dell’interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni, si applicano
anche alla minore di diciotto anni le procedure di cui all’articolo 7,
indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela.

Articolo 13
Se la donna è interdetta per infermità di mente, la richiesta di cui agli
articoli 4 e 6 può essere presentata, oltre che da lei personalmente, anche dal
tutore o dal marito non tutore, che non sia legalmente separato.
Nel caso di richiesta presentata dall’interdetta o dal marito, deve essere
sentito il parere del tutore. La richiesta presentata dal tutore o dal marito
deve essere confermata dalla donna.
Il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di
fiducia, trasmette al giudice tutelare, entro il termine di sette giorni dalla
presentazione della richiesta, una relazione contenente ragguagli sulla domanda
e sulla sua provenienza, sull’atteggiamento comunque assunto dalla donna e
sulla gravidanza e specie dell’infermità mentale di essa nonché il parere del
tutore, se espresso.
Il giudice tutelare, sentiti se lo ritiene opportuno gli interessati, decide
entro cinque giorni dal ricevimento della relazione, con atto non soggetto a
reclamo.
Il provvedimento del giudice tutelare ha gli effetti di cui all’ultimo comma
dell’articolo 8.

Articolo 14
Il medico che esegue l’interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla
donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite, nonché
a renderla partecipe dei procedimenti abortivi, che devono comunque essere
attuati in modo da rispettare la dignità personale della donna.
In presenza di processi patologici, fra cui quelli relativi ad anomalie o
malformazioni del nascituro, il medico che esegue l’interruzione della
gravidanza deve fornire alla donna i ragguagli necessari per la prevenzione di
tali processi.

Articolo 15
Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono
l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui
problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi
anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle
tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della
donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza. Le regioni
promuovono inoltre corsi ed incontri ai quali possono partecipare sia il
personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sia le persone interessate
ad approfondire le questioni relative all’educazione sessuale, al decorso della
gravidanza, al parto, ai metodi anticoncezionali e alle tecniche per
l’interruzione della gravidanza.
Al fine di garantire quanto disposto dagli articoli 2 e 5, le regioni redigono
un programma annuale d’aggiornamento e di informazione sulla legislazione
statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali esistenti
nel territorio regionale.

Articolo 16
Entro il mese di febbraio, a partire dall’anno successivo a quello dell’entrata
in vigore della Presente legge, il Ministro della sanità presenta al Parlamento
una relazione sull’attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in
riferimento al problema della prevenzione.
Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di
gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministro.
Analoga relazione presenta il Ministro di grazia e giustizia per quanto
riguarda le questioni di specifica competenza del suo Dicastero.

Articolo 17
Chiunque cagiona ad una donna per colpa l’interruzione della gravidanza è
punito con la reclusione da tre mesi a due anni.
Chiunque cagiona ad una donna per colpa un parto prematuro è punito con la pena
prevista dal comma precedente, diminuita fino alla metà.
Nei casi previsti dai commi precedenti, se il fatto è commesso con la
violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena è aumentata.

Articolo 18
Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna
è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera come non
prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con
l’inganno. La stessa pena si applica a chiunque provochi l’interruzione della gravidanza
con azioni dirette a provocare lesioni alla donna.
Detta pena è diminuita fino alla metà se da tali lesioni deriva l’acceleramento
del parto.
Se dai fatti previsti dal primo e dal secondo comma deriva la morte della donna
si applica la reclusione da otto a sedici anni; se ne deriva una lesione
personale gravissima si applica la reclusione da sei a dodici anni; se la
lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita.
Le pene stabilite dai commi precedenti sono aumentate se la donna è minore
degli anni diciotto.

Articolo 19
Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza
delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a
tre anni.
La donna è punita con la multa fino a lire centomila.
Se l’interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l’accertamento
medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell’articolo 6 o comunque senza
l’osservanza delle modalità previste dall’articolo 7, chi la cagiona è punito
con la reclusione da uno a quattro anni.
La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi.
Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli
anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l’osservanza delle modalità
previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene
rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La
donna non è punibile.
Se dai fatti previsti dai commi precedenti deriva la morte della donna, si
applica la reclusione da tre a sette anni; se ne deriva una lesione personale
gravissima si applica la reclusione da due a cinque anni; se la lesione
personale è grave questa ultima pena è diminuita.
Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione
della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma.

Articolo 20
Le pene previste dagli articoli 18 e 19 per chi procura l’interruzione della
gravidanza sono aumentate quando il reato è commesso da chi ha sollevato
obiezione di coscienza ai sensi dell’articolo 9.

Articolo 21
Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 326 del codice penale,
essendone venuto a conoscenza per ragioni di professione o di ufficio, rivela
l’identità – o comunque divulga notizie idonee a rivelarla – di chi ha fatto
ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla presente legge, è
punito a norma dell’articolo 622 del codice penale.

Articolo 22
Il titolo X del libro II del codice penale è abrogato.
Sono altresì abrogati il n. 3) del primo comma e il n. 5) del secondo comma
dell’articolo 583 del codice penale.
Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, non è
punibile per il reato di aborto di donna consenziente chiunque abbia commesso
il fatto prima dell’entrata in vigore della presente legge, se il giudice
accerta che sussistevano le condizioni previste dagli articoli 4 e 6.

ASSEMBLEA
DELLE COMPAGNE / Centro sociale
exkarcere / Collettivo
universitario autonomo

PER INFO E
CONTATTI : AULA IV B
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA VIALE DELLE SCIENZE

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