[10maggio]a Cinisi a trent’anni dall’omicidio di Peppino Impastato|!|

Per la prima volta le realtà autonome della citta di Palermo hanno deciso di partecipare ad una manifestazione del genere, non
condividendo comunque le linee guida di quanti , questo corteo, lo hanno organizzato.
Lo spezzone era aperto dallo striscione che riportava la scritta “né con la
mafia né con lo stato, nessuna fiducia nelle istituzioni”.  Sia con lo striscione che con gli slogan
lanciati, il centro sociaole si è fatto portavoce di una riflessione sulla mafia
che non è plagiata dall’attuale cultura dell’antimafia, dell’ invocazione della
legalità a tutti i costi , dell’appoggio alla magistratura e alla istituzioni,
convinti che non si puo’ parlare di una migliorabilità delle istituzioni e
dell’invocazione del passaggio da uno stato c
orrotto a uno stato  corretto che
comunque rimane nelle compatibilita’ capitaliste , ma di  app
arati statali che, nella pratica sono  stati i produttori di quelle condizioni che
hanno
portato alla morte di Peppino Impastato, che, come  dimostrato da innumerevoli eventi, sono stati
i mandanti di molti omicidi, celati sotto la mano di quella che loro, i potenti
e ormai molti in Sicilia , chiamano mafia. Mafia è un concetto ormai abusato,
un termine speciale come “terrorismo” usato per descrivere una situazione
complessa, non possiamo continuare ad utilizzare incondizionatamente questo
termine,
prodotto per  nascondere gli
abusi dei potenti, e con il quale in questi anni si è riusciti ad arruolare dentro
questa visione della realtà buona parte della società , della sinistra e anche
di quei  movimenti che invece dovrebbero
smascherare certe costruzioni ideologiche al sevizio del mantenimento di questa
società capitalista  , non vogliamo
affiancarci nella lotta contro il nulla, che lo stato vuol  far condurre alle masse  per continuare la sua corsa
nell’annichilimento della società, per questo noi portiamo avanti la nostra
lotta contro il capitalismo e se ci vogliono portare a decidere da che parte
stare fra  lo stato e le varie
organizzazioni , bande , realta’ extralegali , noi puntiamo ad estendere le
lotte sociali e a non riporre nessuna fiducia nelle istituzioni
Sappiamo
benissimo quanto ricco sia stato nel passato il dibattito sulla questione
“mafia”: le opinioni più svariate sono state espresse su origini e cause di
diffusione del fenomeno , sul funzionamento della struttura , sulle sue
dinamiche interne e sugli sviluppi possibili ,
 
sul come intervenire per debellarlo.




E’ stato
detto tutto e il contrario di tutto;, ma mentre il problema è ben lontano
dall’essere risolto sembrerebbe che da un po’ di tempo in tanti siano impegnati
nel promuovere un processo di “cristallizzazione”di una certa storia dei rapporti
tra mafia e politica ; cristallizzazione che passa attraverso la ridefinizione
di concetti quali quello di legalità o di antimafia , e che punta soprattutto
all’affermazione dell’entità statuale come unica interprete possibile della
lotta alla malavita organizzata. Ciò che viene lanciato è in poche parole un
appello alla società siciliana (e non) a fidarsi di quelle istituzioni che sole
possono realmente contrastare la mafia ad ogni livello (dall’apparato repressivo-giudiziario
agli interventi prettamente economici o socio-culturali) per la riaffermazione
del principio di legalità su quest’isola.
In questa
battaglia culturale vediamo oggi impegnato tutto l’apparato politico-istituzionale
della regione (da destra a sinistra) oltreché ampi settori della società civile
(dall’associazionismo antiracket agli industriali) , tutti sotto la comune
bandiera dell’antimafia.
Il
principio che si cerca di diffondere quindi è il seguente : se nell’illegalità
diffusa la mafia ha trovato il suo fertile terreno di diffusione , nella
riaffermazione di legalità per mano dello stato ( che fa le leggi , per cui è
esso stesso a definire i contorni della legalità ) il sistema mafioso troverà
certamente la sua fine.
Principio
ispirato a false basi politico-sociali ma che fa comodo sia a ogni formazione
politica (istituzioni e partiti )in senso stretto , sia alla costellazione di
associazioni che ruotano intorno ad esse dato che su tale campagna operano un
re-styling della propria immagine e si fanno campagna elettorale.
Un “falso
ideologico”in quanto si basa sull’idea (sbagliata) di uno stato , quello
italiano, da sempre realmente impegnato a vincere lo scontro (anche armato) con
la mafia.
Sin dalla
scuola infatti , ci hanno presentato i rapporti tra mafia e politica come uno
scontro reale tra la
Repubblica italiana e la malavita siciliana ; uno scontro per
il ripristino e la riaffermazione di un legittimo potere sovrano nazionale su
un territorio , quello siciliano , controllato e governato illegalmente da un
sistema di potere , quello mafioso, antagonista e in contrapposizione rispetto
al primo ; ciò sembra oggi non poter più essere messo in discussione.
In questa
“storia” attinge a piene mani , come dicevamo , sia il mondo della politica sia
quei pezzi di società bisognosi di giustificare una scelta , quella di
parteggiare per le istituzioni pur professandosi antistituzionali e contro il
sistema (la scelta per esempio di scendere in piazza per festeggiare una
sentenza della magistratura contro Cuffaro).
 Ma la realtà dei fatti è ben diversa e questo
tipo di racconto mostra immediato tutti i suoi limiti.
Innanzitutto
limiti storici : la storia dei rapporti trasversali tra mafia e istituzioni
dello stato non può essere considerata la storia di uno scontro , ma al
contrario di convivenze e convergenze di interessi .Se per decenni il ruolo
del’apparato statale è sembrato essere marginale nella quotidianità della vita
, tale ruolo va riletto in chiave opportunistica e considerato funzionale rispetto
allo sfruttamento capitalistico della sicilia. : comuni interessi sia dal punto
di vista politico-amministrativo ( basti pensare all’influenza che tutt’ora
ricopre l’organo mafioso nel Parlamento italiano) sia socio-economici (basti
pensare a tutti gli appoggi forniti dal denaro mafioso a
politici,banchieri,industriali).
In questo
complesso scenario di falsità storiche e di rapporti ancora poco chiari sembra
quantomeno azzardato ergere a valori assoluti sull’altare della lotta alla
mafia due concetti come quelli di antimafia e legalità , concetti legati
indissolubilmente alle politiche e alle scelte istituzionali.
Sotto il
termine antimafia ritroviamo oggi una miriade di pratiche e interventi
considerati di lotta (fisica o culturale) a essa: sono antimafia sia i
megaprocessi o le megaretate contro i boss , messi in piedi dai nostri apparati
polizieschi e giudiziari , sia le politiche culturali realizzate dalle varie
associazioni antiracket e prolegalità ( oltre che dallo stato stesso) .Ma
limitare in questo modo il concetto di antimafia , cioè renderlo sottomesso
concettualmente e materialmente alle politiche statali , corrisponde ad uno
svuotamento e ad un allontanamento profondo dall’idea stessa di lotta al
sistema di potere mafioso ; il termine viene così diventando semplicemente una
falsa etichetta di cui si appropria indistintamente chiunque voglia passare per
legalista.
E’
limitativo perché non può esistere solo la politica dell’antimafia di stato –
che come già detto forse ha più collaborato e agevolato la crescita strutturale
della mafia che combattuto realmente per sconfiggerla – o le campagne di
Addiopizzo : non può e non deve esistere anche perché assumere questo punto di
vista significa distogliere totalmente l’attenzione da ogni forma di analisi
socio-economica sui caratteri e l’origine del sistema mafioso attuale ,
appiattendo sul fantomatico tema del principio di legalità ogni ragionamento
sul fenomeno.
Ma cosa
esprime realmente e concretamente il principio di legalità? perché questi
continui richiami non fanno che proporre un modello di lotta alla mafia a suon
di denunce , campagne antipizzo , polizia e sicurezza?
Già da
tempo su scala nazionale e internazionale si sta realizzando un processo di
messa a valore del concetto di legalità come bene irrinunciabile per le
collettività : un processo di sacralizzazione etica della legge che , pompato
dai media ,  ha legittimato nell’opinione
e nel consenso pubblico l’innalzamento del livello di controllo sociale ,
esercitato con l’aumento della repressione delle forze di polizia , nel nome
della sicurezza .
Politiche
queste che non possono che andare a colpire , anche in Sicilia , gli strati
sociali più disagiati , particolarmente quel tessuto metropolitano la cui vita
nell’illegalità può diventare spesso l’unico modo per sopravvivere : basti
pensare ad una città come Palermo in cui ad illegalità diffusa corrisponde una
situazione di dilagante miseria e precarietà ( un’illegalità che probabilmente
è più espressione che causa della miseria …) .
Lo sforzo
attualmente dispiegato nell’educazione alla legalità , in un territorio mai
socialmente ed economicamente” normalizzato”, non può che condurre ampi settori
della società siciliana a sentire sempre più centrale questo tema e ad
identificarlo come unica soluzione all’ oppressivo potere della mafia.
Quello a
cui oggi assistiamo è piuttosto un’abile campagna di propaganda costruita ad
arte da istituzioni , formazioni politiche e settori della grande imprenditoria
, con l’obiettivo di riportare l’immagine dell’isola al centro dell’attenzione
dell’Europa e della geopolitica del capitale , dando alla Sicilia un’immagine,
per così dire, più pulita .La politica regionale è totalmente indirizzata ad
una riqualificazione del territorio siciliano anche in vista del ruolo centrale
di rappresentante europeo che assumerà nell’area di libero scambio
Euromediterranea prevista per il 2010.
Ma questi
continui richiami alla cultura della legalità non possono in alcun modo
contribuire alla risoluzione di quel malessere sociale che dà origine e
alimenta giorno dopo giorno il sistema mafioso ; malessare in cui sicuramente
determinante è stato l’apparato di stato nell’inadeguatezza e nel disinteresse
di intervento amministrativo e sociale .Si tende a dimenticare troppo
facilmente le radici sociali del problema mafioso e che esclusione sociale ,
disoccupazione , corruzione e sfruttamento capitalista non si vincono con la
legalità.
E’
nell’ormai indissolubile legame con le istituzioni che l’antimafia di questo
paese si è appiattita perdendo di vista il problema reale e divenendo purtroppo
un unico corpo con chi la mafia non la combatte ma la protegge : lo stato
italiano.
La
definitiva vittoria sulla mafia e sul suo dominio avverrà solo quando avremo la
forza di ribaltare quel sistema che ne è alla base .
Per chi
non crede che la mafia si vinca a colpi di legalità non avere nessuna fiducia
nelle istituzioni significa lottare per un cambiamento reale.


Dopo mesi di insignificante campagna
elettorale contraddistinta dalla pochezza di contenuti e dall’indifferenza
verso le tematiche nevralgiche che scaturiscono dai bisogni reali di chi vive
costantemente nella condizione di minoranza non marginale, arriva il responso
definitivo: vince il centro destra. Berlusconi si riconferma per la terza volta
rappresentante di una porzione significativa del paese, e la stampa estera non
perderà occasioni per tratteggiarlo come fantoccio show-man. Il nuovo
presidente del consiglio non perde tempo ad annunciare i primi e più urgenti
settori d’intervento: 1) TAV,
INCENERITORI e grandi opere, 2) riforma della scuola, 3) modernizzazione
della Sanità; si prospetta e si auspica in tal modo una nuova stagione di
scontri sociali.
Degna di nota è la vittoria
schiacciante della Lega Nord che per la prima volta raccoglie consensi anche in
territori poco propensi a farsi sedurre dalle retoriche pedaniste come il
Piemonte e l’Emilia Romagna; risultato ottenuto grazie alla chiarezza dei messaggi
lanciati in campagna elettorale sul tema della sicurezza e su letture xenofobe
e razziste.
Nonostante la netta sconfitta,
Veltroni in fondo non ha perso, giocando un ruolo attivo nella
bi-polarizzazione dell’agone politico. Troverà svariati modi per toccare le
giuste corde della via alla moderazione e modernizzazione del paese.
Ma continuiamo il nostro percorso
tra gli anfratti paludosi della politica istituzionale focalizzandoci sulla
sinistra Arcobaleno che ha pagato con l’extra-parlamentarità la totale
passività nelle politiche sociali, l’incapacità di raccogliere e promuovere le
linee direttive provenienti dai movimenti in questi ultimi anni, la mancanza di
una reale scelta di parte ( al di là del retorico slogan usato nella campagna
elettorale) su temi quali TAV, inceneritori, Precarietà/ protocollo Welfare e
il sostegno alle operazioni militari nei due anni di governo. Scelte che hanno
determinato la sconfitta e la marginalità della Sinistra istituzionale,
nell’arco parlamentare ma ancora più importante
nella società. Tuttavia proprio da questa sconfitta vuole trarre la propria
forza riallacciandosi a quei movimenti che talvolta ha ignorato, talvolta
delegittimato, tentando di appiattirli e sgonfiarli promuovendo un linguaggio
che predica “dialogo” al posto di “conflitto”, “disobbedienza” piuttosto che
“antagonismo”. Il tentativo disperato di farsi portavoce delle istanze di tali
movimenti, di istaurare con questi una prassi comune, un dialogo ipocrita non
può che essere letto come l’ennesimo esperimento per restare a galla e non
cadere nel dimenticatoio politico tentando di ripartire da questi per creare
una solida base di consenso da far
fruttare negli anni a venire. Tuttavia i movimenti si sono separati dalle
istituzioni, vivono un’altra vita rispetto alla politica che ci raccontano, le
cose che vogliamo non hanno nulla a che vedere con la potenza del capitale, con
la violenza che esso comporta, con i suoi valori e con la sua idea di
ricchezza.

Per concludere, a due
settimane di distanza arriva la seconda sconfitta che sancisce il definitivo
tracollo della sinistra: le amministrative romane di metà aprile si concludono
con la vittoria schiacciante di Alemanno, risultato che è stato commentato da
Veltroni e dai vertici del PD come “ una vera e propria batosta” mentre la
stampa di sinistra si
 rammarica per il ritorno dell’ondata nera continuando ad
ignorare le  ragioni di tali sconfitte e
sposando un’analisi parziale e miope. In questo quadro così delineato, per
dirla con Mario Tronti :”il nostro compito è elaborare un pensiero
ademocratico, riproporre una teoria della minoranza in quanto minoranza agente,
centrale…dobbiamo pensare la rivoluzione come una cosa che è legittima anche se
non è legale, dobbiamo rivendicare una legittimità senza legalità”.Oltre che nel quadro politico
istituzionale , oggi, ci troviamo ad analizzare il rapporto fra partiti e
movimenti sociali anche a Palermo, gran parte dei quali hanno assunto in questi
ultimi anni, comportamenti ambigui se non addirittura arruolati alla sinistra
istituzionale .
Anche a Palermo come nel
resto d’Italia assistiamo ed assisteremo sempre di piu’ al tentativo di ritorno
della sinistra istituzionale, all’interno dei movimenti , favoriti da quelli
componenti , ambigue da sempre cerniera tra istituzioni e movimenti , fra i
responsabili in questi anni di governo Prodi , dell’immobilismo o della teoria
del governo “amico “.
In Sicilia in questi anni si
giocherà una partita importante che avrà come posta in palio la
“modernizzazione”  e lo sviluppo della
nostra regione: ponte sullo stretto ( tornato in testa alle priorità di governi
regionali e nazionali) inceneritori , rigassificatori , mega centri
commerciali, area di libero scambio 2010 . Un modello di sviluppo fatto su
misura  per i profitti delle imprese a
scapito della qualità della vita di tutta la popolazione Siciliana.
Per rispondere ed essere
all’altezza di queste sfide è necessario costruire un movimento autonomo fuori
dai partiti e dai sindacati .Noi dal supermarket della politica istituzionale
stiamo fuori, non compriamo nessun prodotto, non accettiamo nessuna offerta o
promozione, stiamo da un’altra parte, quella delle piazze e dei quartieri, con
i movimenti e con chi lotta per i propri bisogni e i propri diritti, dalla
parte di chi resiste ed alimenta il conflitto.


 


SEGUIRANNO AGGIORNAMENTI DAL CORTEO…. 

 


 

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